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Ispanismi nel napoletano

Ancora oggi la lingua napoletana, statisticamente, è una delle lingue più parlate in Italia oltre la lingua italiana. Riconosciuta dall’UNESCO come lingua e patrimonio dell’umanitá e con una popolazione di 11.000.000 di abitanti, il napoletano e i suoi dialetti continuano a vivere nei vicoli e nelle strade del sud Italia su un’estensione di cinque regioni, dove si presentano similitudini e somiglianze linguistiche e fonetiche.
La grammatica napoletana ha una struttura elaborata e marcata con influenze assorbite dai popoli che hanno abitato e dominato la Campania. Senza dubbio, soprattutto lo spagnolo e il francese lasciarono segni indelebili nella cultura e nella linguistica napoletana. Un esempio di questa compenetrazione linguistica sarebbe per esempio la parola «butteglia», sicuramente un mix di bouteille (francese) e botella (spagnolo).

Più di trecento anni di dominazione spagnola nella cittá partenopea hanno lasciato tracce non solo nei monumenti ma anche nella lingua. Con l’egemonia aragonese lo spagnolo é diventato un linguaggio predominante nella comunità napoletana. Fin d’allora, l’influsso aragonese nella vita sociale fu evidente nei salotti culturali di corte, con una presenza unicamente di letteratura castigliana e nulla di letteratura volgare napoletana o italiana.
Conoscendo il napoletano si incontrano molti termini di derivazione spagnola nella comunicazione quotidiana. Ad esempio lengua, diente, pelo (che può indicare tutta la capigliatura e non solo il singolo pelo). Non a caso tutti termini legati al corpo/cuerpo.

Gli spagnoli a Napoli non solo lasciarono la popolazione napoletana affascinata dalla loro galenteria, dalla pompa e dai loro modi cortesi ed ossequiosi, ma furono anche considerati colpevoli di aver diffuso nella città abitudini e costumi morali assai negativi, secondo cui i napoletani avrebbero appreso dagli spagnoli la pessima abitudine di giurare sul ‘cuore’ o sul ‘corpo di Dio’, la passione per le prostitute, ed il disprezzo per la vita umana, causa del moltiplicarsi dei reati di sangue. Con gli spagnoli i napoletani hanno appreso sia la crianza (educazione) che la malacrianza (maleducazione).
Un vecchio proverbio napoletano ricorda che «A cunferenza è padrona da mala crianza» (Dare troppa confidenza, è il viatico della maleducazione). Come nello spagnolo il verbo essere si traduce in napoletano con i due verbi stá (stare) per indicare uno stato temporaneo e èsse (negli altri casi). Così come il verbo tenere è usato allo stesso modo del verbo tener in spagnolo per esprimere possesso: Tengo duje figlie (ho due figlie), Tengo fame (ho fame).

Il popolo napoletano piú volte fu ridotto ad un’estrema povertá da questa dominazione, tanto da ribellarsi con vere e proprio rivoluzioni popolari: una di queste, la leggenda del famoso pescatore Masaniello.


Masaniello fu portavoce della crisi sociale ed economica che stava pagando Napoli per il malgoverno spagnolo nel 1646. Il viceré spagnolo Rodrigo Ponce de Leòn, duca d’Arcos, aveva aumentato ulteriormente il carico di tasse, fin quando fu l’aumento del prezzo della frutta fresca a scatenare la rivolta. Il 7 luglio del 1647 al motto di “Viva il re di Spagna, mora il malgoverno!”, Masaniello e i “lazzaroni” sbaragliarono la guardia spagnola e si riversarono in Palazzo Reale. Il motto dimostra la grande fiducia del popolo napoletano nel re staniero che impersonava, tuttavia, un’idea di giustizia.
La rivoluzione durò solo una decina di giorni, ma è rimasta indelebile nella memoria del popolo napoletano.
La moglie di Masaniello, Bernardina, rimasta sola dopo la morte del marito, si diede alla prostituzione. Ricorda nei suoi diari che verrá piú volte picchiata e derubata dai soldati spagnoli sui clienti.
La stessa parola napoletana «muglier» ricorda l’etimologia spagnola dalla parola «mujer», o il pronome «èglia» per indicare ella.

Un fenomeno determinato dalla presenza spagnola a Napoli è costituito dall’elevato numero di ispanismi che è possibile individuare negli scritti letterari e non, redatti durante gli anni della dominazione spagnola.
Difatti, è interessate notare che certi errori tipici che fanno gli spagnoli quando parlano italiano, li fanno anche i napoletani: per esempio l’uso della preposizione a davanti al complemento oggetto riferito ad una persona: Nun veco a Marta/ No veo a Marta.

Il popolo napoletano e quello spagnolo sono collettivitá accumunate da pregi e difetti linguistici, forse anche inconsapevolmente, poichè il napoletano, inconsciamente, si presenta molto piú spagnolo di quello che riusciamo ad immaginare.
Chi vive e cresce a Napoli si ritrova una predisposizione innata ad imparare lo spagnolo molto più facilmente di un altro italiano, ritrovandosi non solo bilingue, ma forse anche trilingue per caso.

Le autrici di questo post sono Anna Racape e Maria Rosaria De Matteis, entrambe accomunate dall’amore per Napoli e le lingue del Sud. Vivono di letteratura e arte a Madrid e si divertono a mescolare idee e fantasie insieme.

7 comentarios el “Ispanismi nel napoletano

  1. Maria Rosaria De Matteis
    9 May 2012

    Forse più che di bilinguismo, possiamo parlare di multilinguismo tra spagnolo, francese, italiano e napoletano. Lo spagnolo, così come il francese, sono state «lingue del Potere» nella societá napoletana, fortunatamente senza distruggere del tutto la forte radice linguistica popolare partenopea. In effetti, i termini legati al corpo, di derivazione estera, fanno pensare al linguaggio del padrone che ha controllo e dominio sul corpo del popolo schiavo. L’idea comune del carattere napoletano è di un essere povero e sempre schiavo, cosí come l’idea del carattere spagnolo é di un essere ricco e conquistatore. La contaminazione tra Lingua napoletana e Lingua spagnola é stata più volte studiata, creando dei veri e propri dizionari etimologici degli ispanismi nel napoletano. Qui ne abbiamo giá un assaggio…

  2. Maria Rosaria De Matteis
    9 May 2012

    Grazie e a te e al blog! Indubbiamente il legame storico-culturale che lega il Sud Italia alla Spagna è ancora molto vivo nei dialetti, che a mio avviso devono essere studiati e tramandati. Penso sempre che imparare il dialetto e la lingua nazionale sia il primo bilinguismo educativo da proteggere in Italia. Questo aiuta una predisposizione mentale ad imparare nuove lingue, soprattutto quelle neolatine, tra cui lo spagnolo e il francese. Cosí ci si ritrova trilingue o multilingue per caso, senza dimenticare ciò che ci ha resi tali.

    • Walter Scalzone
      24 May 2012

      Più che d’accordo con te Maria Rosaria. Aggiungo anche il pizzico di «naturale umorismo» che il dialetto conferisce ai napoletani.
      In generale, lo studio dell’etimo andrebbe proposto nelle scuole del sud, soprattutto nei licei classici e linguistici dove studenti gioverebbero di una conoscenza che li renderebbe «privilegiati».

  3. Anna Racape
    11 May 2012

    Volevo approfittare della pubblicazione dell’articolo per aggiungere qualche spunto di riflessione. Le fiabe popolari sono un attimo strumento per riaccostare i bambini «globalizzati» alla ricchezza di un patrimonio linguistico e culturale. Per l’italiano le fiabe popolari di Calvino sono strepitose e i piccoli si divertono molto a valutare le differenze fra culture partendo da uno schema narrativo relativamente simile. Io lavoro con bambini e adolescenti relativamente «standardizzati» dal punto di vista del linguaggio. Dal punto di vista linguistico, molti di loro mi raccontano di essere frustrati quando cominciano con i nonni una frase in dialetto senza poterla finire. Nei bambini multilingue è spesso difficile che si mantengano davvero vivi i dialetti. Una perdita su cui riflettere.

  4. Sono napoletana e ho sempre trovato interessanti questi ispanismi nel mio dialetto, specialmente quando ascolto parlare mia nonna che ha quasi 90 anni e che parla un napoletano diciamo più antico. Lei conosce dei termini che nel linguaggio dei giovani ormai si sono quasi estinti (per esempio «tampoco», che ha lo stesso significato che in spagnolo). Purtroppo col passare del tempo il napoletano si è un po’ modernizzato e molti ispanismi sono andati perduti…

  5. Alessandro
    5 diciembre 2014

    Ciao, sono spagnolo, e sono presso dall’Italia. Affascianante quello appena letto. Sicuramente mi farà riflettere. Quel’errore della preposizione a davanti al complemento oggetto mi ha colpito. Complimenti ancora. Un itagnolo di Cadice.

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Esta entrada fue publicada en 9 May 2012 por en Bilinguismo / Biculturalismo y etiquetada con , , , , , , , .

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